(Per lei, ma vale anche per lui)

La tua femminilità.

Altrove: ecco dove sei. Sempre e comunque. Anche quando all’apparenza ti accomodi tra le pieghe di una vita normale mimetizzata negli abiti e nei modi di una persona come ce ne sono tante, persino allora tu sai compiere il miracolo di esserci e non esserci: che non è il tuo problema. Semmai quello di chi ti circonda, e s’illude di sapere chi sei. Ma non può, perché tu per prima pervicacemente ti rifiuti di saperlo, considerandola la resa ultima e più definitiva alla banale, nuda, cruda, prosaica, insopportabile, oltraggiosa normalità.

E perché mai accontentarti di essere una, quando puoi essere nessuna o centomila? Un’identità prevedibile ai tuoi occhi è sempre una porta chiusa in faccia alle meraviglie del possibile: un bagaglio troppo pesante per te che aspiri a diventare così leggera e impalpabile da perderti in un qualche infinito in cui nessuna rete possa più catturati. E nell’infinito non puoi mica entrarci con un trolley carico di certezze. Bisogna spogliarsi, spossessarsi, lasciar andare.

Tu sei qui e non qui. Un gioco di specchi. Un miraggio. La luce di una stella che brillava centomila anni fa e non è più lì dove crediamo di vederla. Il riverbero di una dimensione parallela. Un ologramma. Un’illusione ottica. Talvolta un inganno: perché è facile – e tu lo sai e ci giochi – ingannare i sensi di chi davvero crede che due più due faccia sempre quattro.

Tu sei Nettuno: il pianeta della metamorfosi, dell’infinito, della dissoluzione, dell’imprevedibile. Quel multiforme, scombinato, irrazionale, ipersensibile Nettuno che è musica e mare, miracolo, magia, fuga, sacrificio, masochismo, arte, follia: tutti amici che conosci benissimo.

E da cui ti fai amabilmente tiranneggiare: perché a differenza della tua dirimpettaia, quella Vergine che mira alla conservazione della materia nel timore che l’anima possa essere un falla aperta sul nulla, tu ami perderti, contaminarti, scivolare nel buco. Lo conosci così bene quel buco che puoi entrarne e uscirne quando ti pare: in una mano hai la droga e nell’altra l’antidoto. Anche quando ti capita di dimenticartene. 

Puoi commuoverti fino a piangere lacrime vere per un cartone animato o persino uno spot pubblicitario, ma un minuto dopo puoi ridere di un nonnulla come una bambina indenne da qualunque preoccupazione. Ed è vero che sei sempre lì a sporgerti da  qualche invisibile baratro, preda di malattie immaginarie, amori disperati, mestruazioni dolorose e fantasiosissime paranoie. Ma i conti ti tornano sempre proprio perché non ti tornano mai: perché non c’è una soluzione univoca al sudoku della vita, ma almeno mille, e tanto vale provarle tutte. Chi può arrogarsi il diritto di stabilire quali siano quelle giuste? Che orrenda prigionia la verità assoluta.

Tu vivi dall’altra parte, nei territori dell’ “hic sunt leones”, in cui a volerti seguire si rischia di perdersi. Mentre tu, che persa lo sei già, sai (quasi) sempre come tornare indietro: ti basta entrare in un nuovo personaggio per cambiare palcoscenico e copione.

Basta non affezionarsi troppo alla consequenzialità, alla coerenza, ai parametri stabiliti, alla logica.

E di volta in volta sarai figlia dei fiori, principessa, sirenetta, infermiera, crocerossina, fata, vagabonda, artista, mistica, asceta, matta scatenata. Persino donna in carriera, se ti gira. O femme fatal. Oppure madre amorosa che ha occhi e cuore solo per la prole.

L’amore e il sesso

Sei femminile e seduttiva come poche altre. Perché tu conosci l’arte del creare scenografie irresistibili, scatenare emozioni, confondere le idee, agitare le acque, apparire e sparire. Oppure esserci così intera da prenderti tutto lo spazio. O invece annullarti nell’altro al punto che lui si ritrovi senza nemmeno accorgersene ad annullarsi in te. A rischio, quando accade, che tu lo possa dare a tal punto per scontato da disamorartene, strappargli gli occhialini 3D e ricatapultarlo quando meno se lo aspetta in un mondo tristemente bidimensionale.

Tra tutte le magie e i miraggi quelli che produce l’amore sono i tuoi preferiti: a ben guardare i più a portata di mano. Talvolta – sia pur a malincuore e se proprio non c’è alternativa – ti devi rassegnare ad un lavoro noioso, ad amici prevedibili, ad una casa banale. Ma un amore stra-ordinario è indipendente dal conto in banca, dal titolo di studio, dalla latitudine e persino dall’età: sta solo a te inventartelo.

Non uno qualunque, beninteso. Vediamo: dev’essere sospeso, rarefatto, spirituale, poetico, onirico, assoluto, infinito, magico, mistico, speciale. Non un amore tanto infuocato e bruciante da perdere le sfumature (come piace alla Leone o all’Ariete), non talmente solido e terrestre da non poter volare (come vogliono la Capricorno o la Vergine), e nemmeno così aereo e leggero da non ispirarti poesie strazianti (come quello gradito alla Gemelli o alla Acquario).

No. Dev’essere un amore acquatico, come te: liquido, pervasivo, duttile, disponibile a prendere tutte le forme, proprio come l’acqua che una forma sua non ce l’ha, e può essere oceano, pozzanghera, gocce sui vetri, ruscello. Un amore che scorra a rivoli sotterranei o a cascate, ora spumeggiante ora silenzioso, scintillante sotto il sole, buio sotto la luna. In cui l’uno si compenetra nell’altro per essere insieme assunti in cielo come un’unica anima e un unico corpo.

Un amore per il quale struggerti e morire. Un amore che per conquistartelo devi lottare contro l’invidia degli dei, distanze geografiche, malattie del corpo o dell’anima, fidanzate in carica o legittime mogli, figli minori, genitori anziani, mutuo sulla casa.

Insomma: un amore impossibile quel tanto che basta a procurarti la dose minima garantita di trepidazione e infelicità che può aprirti il cuore e dare una scossa agli ormoni: perché anche il sesso se non è sublime diventa routine, e in sé e per sé non attizza più di tanto.

A parole la vuoi l’isola felice, ma nei fatti (ammettiamolo) è un continuo naufragio quello che cerchi, o un’attesa in un cui struggerti.

Ma quando infine il principe arriva, uccide il drago e ti tende la mano per salvarti dalla solitudine, dal disamore o dalla noia, deve stare molto attento a non scendere mai dal cavallo: potresti scoprire (dopo un mese o dieci anni), che è basso, calvo, terribilmente prevedibile e forse nemmeno laureato.

E allora ricominciano l’attesa, i falsi allarmi, i “nessuno mi salverà”. Ma tu non vuoi essere salvata. Se non forse per sfinimento e rassegnazione dopo l’ennesimo naufragio, e il più tardi possibile.

(Dal libro “Va’ dove ti porta Venere” – Franca Mazzei – Sonzogno Editore – sul web e in e-book)a’

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